un fenomeno geologico in una specie di leggendario ingresso ai resti
architettonici di una macroscopica città, un po’ come accade da noi
con l’uso ripetuto del termine
ciclopico
, attribuito a resti murari di
notevole mole e di una non definita antichissima epoca
.
2
Una completa comprensione storico-religiosa dell’edifico QN3 a
Dāhān-i Ghālāmān è ancora lontana. Si può immaginare che nel Sistan
esistessero spazi ‘ideologico-religiosi’ in cui si svolgessero i rituali a
cura di un’organizzazione politico-statale che li ‘sponsorizzasse’, come
testimoniato da alcune tavolette di Persepolis e, comunque, non ancora
archeologicamente rinvenute. L’esempio del Sistan, costruito secondo
una pianta quasi perfettamente quadrata, può certamente evocare
alcune delle piante degli edifici delle lontane capitali come Persepoli
e Pasargade (un uso rigoroso di angoli retti, la regolarità degli spazi,
una corte centrale, l’uso di pilastri come sostegno di un tetto
probabilmente piano; in parte, poi, anche a causa di un diverso contesto
geo-climatico e culturale, si può osservare che le corti centrali negli
edifici pubblici per lo più sono scoperte, e che le colonne sono
ovviamente assenti, così come il partito centrale delle planimetrie
achemenidi delle sale ipostili), è, tuttavia, caratterizzato dalla presenza
di una serie di installazioni cultuali variamente dislocate: tre
vasche/altari quadrangolari nella corte centrale (forse aggiunte in epoca
successiva), pirei/fornaci, e ‘tavole sacrificali’ nei due porticati
settentrionale e orientale, due vasche oblunghe le cui pareti annerite
dalle ossa di animali trovate bruciate nel porticato occidentale, e
incombusti in un altro, e altari/focolari, con il tiraggio garantito da
gradini laterali. Particolarmente suggestiva è l’ipotesi (Scerrato 1979;
[Fig. 4]); a dire il vero sentita tempo fa anche direttamente a voce da
Scerrato, e, negli ultimi anni, elaborata e formulata anche dal
sottoscritto), che l’edificio fosse servito per offrire alla popolazione
locale uno spazio in cui condurre le proprie attività cultuali, nell’ambito
di un controllo politico-religioso, in qualche modo correlato a una
dimensione politica, forse della dinastia achemenide, o di un’entità
politico-regionale che ne avesse la funzione. Vorrei qui sottolineare,
però, che questa linea interpretativa meglio esprime le difficoltà di
correlare i dati epigrafico/filologici e linguistici, con i reperti
archeologici. La presenza di resti ‘materiali’, come i dati territoriali,
insediamentali, urbani e, in questo caso, anche architettonici, non
comportano necessariamente una stretta correlazione con ciò che è
scritto nelle fonti. Tali correlazioni rimangono ipotetiche ed entrambe
le tipologie di informazioni possono non essere necessariamente
collegate tra loro. Il collegamento della presenza delle tre vasche/altari
nella corte con quella di un culto ‘imperiale’diventato tripartito (Ahura
Mazda, Mithra e Anahita), solo perché Artaserse II (404-359 a.C.) in
una delle sue iscrizioni aveva accennato, per la prima volta, ad una dea
femminile di nome Anahita (Boyce 1998: 646; Brosius 2006: 181;
Gnoli 1983: 144; 1994: 534) non sembra particolarmente probante. In
phenomenon in a kind of legendary entrance to the architectural
remains of a macroscopic city, a bit as it happens here with the
repeated use of the term
cyclopean
, attributed to remains of walls
of considerable size and an undefined ancient times.
2
Acomplete understanding of the religious history of building QN3
at Dāhān-i Ghālāmān is still far. One may imagine that there were
spaces ‘ideological-religious’in Sistan in which the rituals were held
by state political organization that will ‘sponsor’, as witnessed by
some tablets in Persepolis, however, not yet archaeologically
discovered. The example of Sistan, built with an almost perfectly
square plan can certainly evoke some of the building plans of distant
capitals like Persepolis and Pasargadae (a strict use of right angles,
the regularity of the spaces, a central courtyard, the use of pillars to
support a roof, probably plan; in part, then, also because of a
different geo-climatic and cultural background, one may observe
that the short central court in public buildings, for the most part,
were uncovered, and that the columns are obviously absent, as well
as the Achaemenid hypostyle halls), is, however, characterized by
the presence of a series of cultic installations variously located: three
quadrangular pools/altars in the central court (maybe added at a later
time), pyraei/furnaces, and ‘sacrificial tables’ in the northern and
eastern two porches, two oblong tanks whose walls blackened by
burnt animals bones, found in the western porch, and combusted in
another, and altars/hearths, with the draft guaranteed by side steps.
Particularly striking is the hypothesis (Scerrato 1979 [Fig. 4];
actually heard long ago from Scerrato also transmitted orally, and in
recent years, developed and formulated by myself also), that the
building served to give the local population a space in which to
conduct their own cultural activities, as part of a control
political/religious in some way related to a political dimension,
perhaps theAchaemenid dynasty, or a regional-political entity which
kept the function. I would like to emphasize here, however, that this
interpretative line best expresses the difficulty of correlating the
epigraphic/philological and linguistic data with the archaeological
finds. The presence of material remains, as the spatial, urban, and in
this case, even architectural data, does not necessarily involve a
close correlation with what is written in the sources. These
correlations are hypothetical, and both types of information may
walk very well by themselves, and not, therefore, necessarily be
connected to each other. The connection of the presence of three
pools/altars in the court with that of an ‘imperial’ cult became
tripartite (Ahura Mazda, Mithra and Anahita) just because
Artaxerxes II (404-359 BC) in one of his inscriptions had
mentioned, for first time, a female goddess named Anahita (Boyce
1998: 646; Brosius 2006: 181; Gnoli 1983: 144; 1994: 534), does
not seem particularly convincing. In other words, ‘Achaemenid’
B
RUNO
G
ENITO
Alla ricerca di un’archeologia perduta… / In Search for a Lost Archaeology…
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