G
IOVANNA
V
ENTRONE
V
ASSALLO
Ceramica islamica / Islamic Pottery
alkaline transparent glaze, which during the firing is
vitrified over the body of the vessel thanks to the
specific properties of the alkali salts allowing them to
melt at lower temperatures (850°).
The coating thus obtained is transparent and does
not need a slip; however, it can be opacified adding an
even minimum quantity of tin, but more often it is
coloured and takes highly characteristic tints which
include several shades of green/turquoise, light,
almost transparent blue, dark blue (which is less
frequent due to the presence of the expensive cobalt),
a violet/purple obtained through the presence of
manganese. In some cases the colour of the interior of
the object is different from that of the exterior. The
alkali-glaze covers the entire surface of the object, so
that a certain concentration of it is clearly visible on
the bottom (see MO148), but on the outside, it stops
just above the foot and remains visible in the form of
large drops or a thickening of its margin (MO156).
Perhaps due to an increasing demand, and certainly
also to the evolution of taste, variously shaped objects
are produced, sometimes taking inspiration from
metalwork (Soustiel, Allan 1993), among which there
are many closed forms, even of considerable size and
often decorated with intricate patterns in relief; very
representative of this type of pottery are some precious
jars from Raqqa (Sauvaget 1948; Poulsen 1970).
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We also find small free standing objects, as well as
lamps, candlesticks, elaborate flower vases, alongside
open forms showing an equally wide range of different
profiles obtained also from moulds thanks to the
ductility of the new artificial paste.
The items on display come from Iranian territories
and some of them are comparable, once again, to the
findings from Nishapur which can legitimately be
considered as the last bastion of the Seljuk production
as distinguished from that of Central Asia, with which
proprietà dei sali alcalini di fondere già a temperature
non troppo elevate (850°). Il rivestimento così
ottenuto è trasparente e non necessita di un ingobbio;
esso può tuttavia essere opacizzato con una
percentuale anche minima di stagno, ma più spesso è
colorato e assume tonalità molto caratteristiche che
comprendono il verde/turchese, in varie tonalità, il blu
chiaro, quasi trasparente, il blu scuro, meno frequente
per la presenza del cobalto più costoso, un
viola/porpora, dovuto alla presenza del manganese. In
qualche caso il colore dell’interno dell’oggetto è
diverso da quello dell’esterno. La vetrina alcalina
riveste tutta la superficie dell’oggetto, sul cui fondo
ben si individua una certa concentrazione della stessa
(v. MO148) ma, all’esterno, si arresta poco al di sopra
del piede e resta ben visibile in forma di grosse gocce
o di un inspessimento del suo margine (MO156).
Forse per una più ampia richiesta di mercato e di
certo anche per un’evoluzione del gusto si producono
oggetti dalle forme svariate, che a volte si ispirano alla
metallistica (Soustiel, Allan 1993), tra i quali figurano
molte forme chiuse anche di notevoli dimensioni,
spesso ornate con complessi motivi a rilievo;
pregevoli e molto indicative di questo tipo di ceramica
sono alcune giare di Raqqa (Sauvaget 1948; Poulsen
1970).
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Si ritrovano inoltre piccoli oggetti a tutto tondo,
nonché lampade, portacandele, vasi da fiori elaborati,
accanto a forme aperte dai profili altrettanto vari
ottenuti anche con matrici a stampo grazie alla duttilità
della nuova pasta artificiale.
Gli esempi che sono in esposizione provengono dai
territori iranici e alcuni di essi trovano ancora una volta
confronti nella ceramica recuperata a Nishapur, che si
può considerare ormai l’ultimo baluardo della
produzione selgiuchide la quale si distingue da quella
dell’Asia Centrale con cui fino ad allora ha condiviso la
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